Ho letto e sentito tante cose sulla vicenda di Margaret Spada, la ragazza di 22 anni morta mentre si sottoponeva a un intervento di rinoplastica in un certo medico estetico di Roma.
Tra i tanti dettagli emersi, uno ha suscitato un’ondata di reazioni e discussioni: il fatto che il centro fosse stato individuato grazie a una sponsorizzata su TikTok.
I social come capro espiatorio
Si è scatenato un coro di critiche che puntano il dito contro TikTok, accusandolo, in modo diretto o indiretto, di essere la causa ultima della tragedia. Perché “Chi si fa pubblicità sui social è meno affidabile”,“Se un professionista pensa a TikTok, non può pensare ai pazienti”.
Non è la prima volta che nei fatti di cronaca si indaga sull’uso o abuso dei Social, come spesso è l’uso dei Videogiochi la causa della violenza. Ma è davvero giusto attribuire ai Social ogni responsabilità?
La pubblicità: è un male?
Da tempo i social media sono sotto accusa per una presunta superficialità o per la diffusione di messaggi fuorvianti. Ma, criminalizzare l’uso dei social per la pubblicità di un’attività professionale è superficiale, mi sembra un modo per colpevolizzare un’entità astratta, affinché le vere responsabilità se le assumano in pochi. Dopo tutto, Centri estetici, studi medici e altre attività lavorative hanno bisogno di promuoversi per attrarre clienti. E non è forse sempre stato così?
Non ho la competenza di esprimermi riguardo il tragico evento, né quella di giudicare, difendere o di affidare responsabilità. Sarà compito di chi di competenza, ma posso affermare che tra le mille colpe, responsabilità e inadempienze, non possiamo includere l’aver pubblicato un annuncio su TikTok.
Professionisti sui social: davvero meno affidabili?
L’idea che un professionista diventi automaticamente meno competente solo perché utilizza i social per promuoversi è infondata. Il fatto che molti medici, avvocati, psicologi e altri esperti siano attivi su piattaforme social non diminuisce il valore del loro lavoro, ma permette loro di avvicinarsi al pubblico e comunicare in modo diretto.
Che si tratti di pubblicità in televisione, in radio o sui social, l’obiettivo è lo stesso: raggiungere il pubblico. Demonizzare TikTok o Instagram come veicoli promozionali, senza fare lo stesso con media tradizionali, è un atto di incoerenza. Perché un cartellone pubblicitario dovrebbe essere più “rispettabile” di un post sponsorizzato?
La scelta di un professionista, in ogni caso, non dovrebbe mai basarsi solo sulla pubblicità, (qualunque essa sia) ma anche su altri elementi come la reputazione, le recensioni e le certificazioni.
Il vero problema: altro che social
Nella vicenda di Margaret, ridurre tutto a TikTok è una semplificazione che rischia di distogliere l’attenzione dalle questioni più serie. Quali sono stati i protocolli seguiti nel centro medico? L’équipe era qualificata? C’erano carenze nei controlli sanitari? Questi sono i veri nodi da sciogliere, non la pubblicità.
Margaret non è morta per un post sponsorizzato, né per il desiderio di migliorare il suo aspetto. Cercare un capro espiatorio nei social media non aiuta nessuno, anzi aumenta pone l’accento sulla superficialità dei giovani nelle loro scelte. Un altro di quei temi che non basterebbe un intero Server.
Per concludere
TikTok e Instagram non sono né eroi né mostri. Sono strumenti, e come tali, il loro impatto dipende da come vengono utilizzati. Invece di demonizzarli, forse dovremmo concentrarci sulle reali responsabilità e su come evitare che tragedie come questa si ripetano. La superficialità del giudizio non rende giustizia né alla vittima né al problema.
Grazie per aver letto fin qui.
Martina
