MANIFESTI E PUBBLICITÀ A STAMPA DEL ‘900

Pubblicità a stampa del '900

Nel primo Novecento, la pubblicità a stampa si ergeva non solo come un elemento accessorio dei giornali, ma come un fulcro essenziale del processo giornalistico stesso. L’affermazione di Luigi Albertini, riportata sulle pagine del Corriere della Sera nel 1906, «Anima di ogni processo giornalistico», [1] evidenziava il ruolo centrale che la pubblicità assunse nella sostenibilità economica delle testate giornalistiche. L’avvento e la crescita esponenziale della pubblicità all’interno dei giornali segnò un cambiamento significativo nel panorama editoriale italiano, in cui la presenza degli annunci divenne sempre più predominante, tanto da diventare una fonte principale di entrate per i giornalisti stessi. [2] 

La quarta pagina è considerata molto interessante dagli inserzionisti di grandi aziende, ma anche di quelle giovani e dinamiche, che comprendono il valore dell’annuncio per farsi conoscere e farsi strada nel mercato. [3] La pubblicità, dopo aver occupato l’intera quarta pagina, iniziò progressivamente a raggiungere la quinta e la sesta, aumentando esponenzialmente. [4] Come sosteneva Albertini, «Senza il fiorire della pubblicità [i lettori] non potrebbero […] aver periodici come quelli che noi diamo loro». [5] Nel corso di questi anni, il gruppo editoriale di Albertini ebbe una crescita di vendite, dando il via alla sperimentazione di grafiche pubblicitarie sempre più raffinate. Gli annunci erano composti da immagini che si accompagnavano dallo slogan accattivante, elementi che attiravano il consumatore e lo convincevano all’acquisto. [6]

Il caso emblematico dell’azienda olearia Sasso, guidata da Mario Novaro, evidenzia la sinergia tra pubblicità e produzione editoriale. Attraverso la pubblicazione del giornale La Riviera Ligure, che ospitava autori di rilievo come Grazia Deledda, Luigi Pirandello e Giovanni Pascolo, unitamente a illustrazioni [7] e vignette promozionali di Paolo Mantegazza, l’azienda integrò abilmente la comunicazione commerciale con l’editoria, sfruttando la potenza persuasiva della letteratura e delle arti visive per promuovere i propri prodotti. [8] 

Aziende come Bertelli, Campari e Sasso si distinsero per un’intensa attività pubblicitaria, frutto di una collaborazione sinergica tra imprenditori, illustratori e giornalisti. Queste aziende non disponevano di un ufficio interno dedicato alla pubblicità, ma si affidavano a esperti esterni, i cosiddetti “tecnici pubblicitari”. Molti degli artisti del periodo si specializzarono nella grafica pubblicitaria. [9] Inizialmente, emersero due tendenze distintive: da un lato le campagne pubblicitarie curate da artisti, e dall’altro, le pubblicità elaborate dai tecnici che abbracciavano i metodi scientifici. Dapprima, questi due approcci rappresentarono mondi separati e talvolta contrapposti, ognuno con le proprie metodologie.

Le pubblicità degli artisti si caratterizzavano per la loro estetica accattivante e spesso enfatizzavano l’aspetto creativo e visivo del messaggio pubblicitario. D’altra parte, le campagne pubblicitarie sviluppate dai tecnici, seguivano un approccio più razionale e scientifico, basato sull’analisi di mercato, sulla psicologia del consumatore e sull’utilizzo di dati empirici per guidare le decisioni pubblicitarie. [10] Nel corso del tempo, queste due tendenze cominciarono a convergere e a collaborare più strettamente, pur continuando a utilizzare le immagini come elemento centrale per catturare l’attenzione, queste venivano accompagnate da testi persuasivi e da slogan che comunicavano le virtù del prodotto e incoraggiavano l’acquisto. [11]

Successivamente alla Prima guerra mondiale, ci fu una svolta significativa nel mondo della pubblicità a stampa, che iniziò ad adottare strategie persuasive simili a quelle utilizzate durante il confitto. Questo periodo segnò l’inizio di una professionalizzazione della pubblicità, influenzata dagli approcci provenienti dall’America. Vennero tradotti i loro manuali di comunicazione, che integravano psicologia e analisi di mercato nella pratica pubblicitaria. [12] Il linguaggio della pubblicità era ormai diffuso in tutto il mondo, erano nate nuove scuole e nuove professioni, e, anche se con un certo ritardo rispetto ad altri Paesi, l’Italia poteva vantare una fisionomia ben definita dell’esperto pubblicitario, colui che attraverso testi e illustrazioni veicolavano i messaggi di grandi aziende per consigliare e indirizzare i clienti all’acquisto. [13]

Nel corso del Novecento, la stampa italiana ha vissuto un’epoca di notevole cambiamento. Il progresso della scienza e della tecnologia stimolava un aumento della produzione e del consumo di materiale stampato. La popolazione mostrò un crescente interesse per le notizie provenienti dal resto del mondo, spingendo la stampa a sviluppare nuove tecniche di raccolta e diffusione delle informazioni. Gli imprenditori riconobbero il potenziale della stampa come mezzo per raggiungere un vasto pubblico e intensificarono gli sforzi per utilizzare la pubblicità come strumento di promozione in tutti i settori imprenditoriali, con la stampa che copriva ormai l’intero Paese. [14]

Durante il ventennio fascista, la pubblicità sperimentava un nuovo impulso. A causa della predominanza dei monopoli e degli oligopoli, con lo Stato che esercitava un controllo diffuso, la pubblicità dovette affrontare le sfide di un ambiente caratterizzato da consumi limitati e restrizioni alle libere scelte di mercato. Nonostante queste difficoltà, il settore pubblicitario agì con responsabilità e determinazione, arricchendo l’ambiente di nuove iniziative. Si moltiplicarono i mezzi e si perfezionò l’organizzazione, consentendo alla pubblicità di adattarsi alle circostanze del periodo e di svolgere il suo ruolo nel contesto sociopolitico del tempo. Gli anni successivi alla Prima guerra mondiale, sono noti per la storia della pubblicità, come «periodo riorganizzativo».[15] 

Emersero forti desideri di confronto e scambio di studi, testimonianze ed esperienze sia a livello umano che professionale. I protagonisti del settore pubblicitario, principalmente concentrati nelle città di Milano, Torino e Genova, si riunivano per discutere problemi, scambiare idee e partecipare a dibattiti con un fervore che va oltre il campo ristretto della pubblicità, influenzando anche il mondo più ambio della cultura e dell’arte. Questo atteggiamento rifletteva una profonda consapevolezza dell’importanza dell’evoluzione professionale, alimentando un clima di fermento intellettuale e creativo tra i pubblicitari di quel tempo.[16] 

Le pubblicità che troviamo all’interno delle riviste sono di vario genere, create dai molti illustratori che in questi anni collaboravano con le agenzie pubblicitarie come la Officine Grafiche Ricordi, il quale aveva raccolto intorno a sé molti talentosi artisti del periodo come Marcello Dudovich, [17] Leonetto Cappiello, [18] Achille Lucien Mauzan. [19] Alle pubblicità “rubate” ai manifesti, si affiancavano quelle create ad hoc per le riviste. Nel corso degli anni Venti, infatti, le aziende si affidavano alle prime agenzie pubblicitarie nate in Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, come l”Acme-Dal Monte, nata a Milano proprio nel 1922, la Idea Metodo Arte (IMA) ed Enneci, ispirate ai modelli americani.

Nonostante le difficoltà del dopoguerra, queste agenzie hanno contribuito a creare una comunicazione efficace, [20] anzi, si assistette al primo decollo significativo della pubblicità. Molti giornalisti erano in prima fila nelle associazioni pubblicitarie, contribuendo a promuovere e a sviluppare il settore. L’interesse crescente del mondo industriale verso la pubblicità giustificava l’apparizione dei primi veri studi dedicati a questo ambito. Nel 1919, la casa editrice Hoepli pubblicò la versione italiana di “Come si riesce negli affari” di W.P. Warren, Un anno dopo, pubblicò un’opera ancora più specifica, “Come si riesce con la pubblicità” di Egisto Roggero. Contemporaneamente, la casa editrice Lattes pubblicò “La pubblicità commerciale” di Girolamo Bevinetto.

Una novità importante nel panorama editoriale italiano, che forniva agli imprenditori e ai professionisti del settore strumenti teorici e pratici per migliorare le loro competenze in ambito pubblicitario. [21]

Note

1 L. BENADUSI, Il Corriere della Sera di Luigi Albertini. Nascita e sviluppo della prima industria culturale di massa, Aracne, Roma 2012, p. 37. Citato in Storia d’Italia, Annali 27. I Consumi, Giulio Einaudi Editore, p. 436.
2 Cfr. FASCE, BINI, GAUDENZI, Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Époque a oggi. Carrocci editore, 2019. p. 15.
3 Cfr. ANTONIO VALERI, Pubblicità italiana. Storia, protagonisti e tendenze di cento anni di comunicazione. Edizioni del Sole 24 ORE, Milano, 1986. p. 29.
4 Cfr. STEFANO CAVAZZA, EMANUELA SCARPELLINI, (a cura di), Storia d’Italia, Annali 27. I Consumi, Giulio Einaudi Editore, p. 436.
5 FASCE, BINI, GAUDENZI, Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Époque a oggi. Carrocci editore, 2019. p. 22.
6 Cfr. Ivi, pp. 22, 23.
294 Alcune delle illustrazioni per la promozione dell’olio Sasso sono riportate su L’Illustrazione Italiana.
7 Cfr. FASCE, BINI, GAUDENZI, Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Époque a oggi. Carrocci editore, 2019. p. 32.
8 Cfr. ANTONIO VALERI, Pubblicità italiana. Storia, protagonisti e tendenze di cento anni di comunicazione. Edizione del Sole 24 ORE, Milano, 1986. p. 45.
9 Cfr. FASCE, BINI, GAUDENZI, Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Époque a oggi. Carrocci editore, 2019. pp. 44 – 47.
10 Cfr. Ivi, pp. 33, 34.
11 Cfr. Ivi, p. 53.
12 Cfr. ANTONIO VALERI, Pubblicità italiana. Storia, protagonisti e tendenze di cento anni di comunicazione. Edizione del Sole 24 ORE, Milano, 1986. p. 42.
13 Cfr. Ivi, p. 29.
14 Ivi, p. 66.
15 Cfr., Ivi, pp. 65 – 67.
16 Marcello Dudovich, nato a Trieste nel 1878, si trasferì a Milano vent’anni dopo per lavorare presso le Officine Ricordi. Inizialmente impiegato come disegnatore litografico, ben presto Dudovich iniziò a creare in proprio disegni per le pubblicità, attirando l’attenzione del litografo Chappuis di Bologna, con il quale iniziò una prolifica collaborazione. Dudovich non si limitò alla pubblicità, ma espanse il suo talento anche in ambito editoriale, collaborando con la rivista tedesca “Simplicissimus”. Nella rubrica “Galanteria”, ebbe modo di esprimere una concezione ideale della figura femminile, ritraendola come dolce, elegante e gioiosa. Questa rappresentazione della donna divenne una cifra distintiva del suo stile. Cfr. CESARANI GIAN PAOLO, Storia della pubblicità in Italia. Editori Laterza 1988, p. 13.
17 Leonetto Cappiello, nato a Livorno nel 1875, si trasferì a Parigi nel 1898, dove rapidamente acquisì notorietà come caricaturista, raggiungendo la celebrità già nel 1899. Sebbene inizialmente conosciuto per le sue caricature, la sua fama è principalmente legata al mondo dell’affiche e alla sua magistrale arte di cartellonista. Cappiello riveste un ruolo di grande interesse nella storia della pubblicità, non solo per la sua creatività, ma anche per la sua professionalità e l’innovativa ricerca che condusse, ricerca che ancora oggi costituisce il fondamento della comunicazione pubblicitaria: la memorabilità. Fu definito l’inventore del “manifesto-marchio”, una forma d’arte che riesce a comunicare immediatamente e in modo fulmineo l’essenza del prodotto, un’opera in cui l’immagine e il messaggio pubblicitario si fondono in modo indissolubile, creando un impatto visivo immediato e duraturo nella mente del pubblico. Ivi, p. 12.
18 Cfr. FASCE, BINI, GAUDENZI, Comprare per credere. La pubblicità in Italia dalla Belle Èpoque a oggi. Carrocci editore, 2019, p. 26.
19 Cfr, ANTONIO VALERI, Pubblicità italiana. Storia, protagonisti e tendenze di cento anni di comunicazione. Edizione del Sole 24 ORE, Milano, 1986. p. 56, 68.
20 Cfr. CESARANI GIAN PAOLO, Storia della pubblicità in Italia. Editori Laterza 1988. p. 32.